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Mutanti e replicanti

Pubblicato da «Il Ponte», anno LXXVI, n. 2, marzo-aprile 2020.

Mutanti e replicanti

Dovremo occuparci a lungo, e con tempi sempre più ravvicinati tra un’epidemia e l’altra, delle mutazioni virali indotte dai cambiamenti climatici, provocati a loro volta dalle devastazioni del capitalismo terminale. Anzi, saranno i nuovi virus ignoti a occuparsi della specie umana. Non è vero, se mai lo è stato, che natura non facit saltus: il “salto di specie” virale da animali a umani in condizioni di nuove necessità (tutte le specie si difendono), stravolge i percorsi apparentemente lineari della storia umana.

Sull’origine dell’attuale epidemia attribuita a uno dei tanti virus della categoria “coronavirus” non sappiamo molto, ne conosciamo alcuni focolai che si stanno connettendo a livello globale, e nei suoi percorsi attraverso i continenti il virus Covid-19 assume caratteristiche diverse, interagendo con i diversi ambienti naturali e antropici. Ne vediamo gli effetti sanitari, economici, culturali e politici, mentre le vere cause sono ignorate dagli assetti istituzionali delle società. Le risposte sanitarie sono antiche, e sono ancestrali le paure. Un’epidemia che si sta trasformando in pandemia viene affrontata come questione esclusivamente sanitaria, e il metodo è lo stesso con cui furono affrontate le epidemie storiche (la “peste nera” che devastò l’Europa medievale, la “spagnola” negli anni della Prima guerra mondiale, fino all’Hiv, a Ebola, e a tante altre forme di mutazioni virali in corso nel mondo, in ogni continente: il contenimento del contagio, fino all’isolamento e alla medicalizzazione degli infetti, nella speranza di sconfiggere la malattia con vaccini sempre in ritardo rispetto alle emergenze, e soprattutto contando su una sua remissione più o meno spontanea e ignota quanto le sue improvvise e imprevedibili manifestazioni. In un pianeta fortemente e “biopoliticamente” interconnesso, in un contesto ambientale compromesso dai cambiamenti climatici in corso, le epidemie virali hanno effetti immediati sulle società umane. Non intervenendo sulle vere cause ambientali che hanno indotto “salti di specie”, potrà accadere che l’attuale epidemia di Covid-19 prima o poi venga contenuta, ma il suo contenimento sarà soltanto un episodio nella marcia tenace dei virus di quella e di altre categorie: i virus cambiano forma, mutano, si adattano a nuovi ospiti, si prendono tempo per poi manifestarsi di nuovo in altre condizioni. Non sappiamo perché in una provincia cinese del nostro tempo alcuni virus ospitati in alcune varietà di pipistrello (animale geniale, mammifero volante, onnipotente) siano stati indotti a sperimentare nuove avventure, nuove trasformazioni, e non sappiamo – tra le tante cose che non conosciamo – per quali ragioni miliardi di locuste (sì, come nella narrazione biblica) stiano devastando il Corno d’Africa, distruggendo le povere economie locali, mentre sono prevedibili incursioni di “cavallette” in Sicilia e in Sardegna, nel nostro sud in fase di desertificazione. Cambiamenti climatici? Certamente. E questo è il nostro contesto reale, compresa l’assenza di politiche internazionali su questa vera e drammatica emergenza prevedibile e distruttiva.

La Repubblica popolare cinese, colpita dall’epidemia di Covid-19 in piena guerra economica con gli Stati Uniti, in un momento di eccezionale esposizione della popolazione, alla vigilia delle festività di Capodanno, e per di più in uno dei centri produttivi più importanti della “fabbrica del mondo”, sta vincendo la battaglia del virus sia sul piano del contenimento sia su quello della ricerca scientifica. Determinante è stata la coscienza civile della popolazione, forte di una lunga tradizione di condivisione del bene comune e collettivo. Oggi, mentre l’epidemia si diffonde in tutti i continenti, la “specificità cinese” politica e culturale è già impegnata nell’elaborazione dell’esperienza su una linea di guerra ai cambiamenti climatici e di rafforzamento del sistema sociale interno, usando le risorse di un capitalismo di Stato e confrontandosi con i suoi limiti, per sviluppare nuove politiche economiche interne e una nuova presenza sui mercati mondiali, con produzioni altamente tecnologiche. Non a caso proprio in questi giorni di positivo superamento dell’emergenza virale, nei mezzi di comunicazione della Rpc si insiste sull’ambivalenza del concetto di «crisi»: pericolo e opportunità. Superato il pericolo, l’opportunità di elaborare e attuare nuove strategie politiche ed economiche. Il prossimo congresso del Partito comunista cinese segnerà un passaggio significativo in questa direzione. Quale capitalismo, quale socialismo, quale struttura sociale, quale presenza nel mondo? Sono questi i termini della “questione cinese”.

Profondamente diverso è il paesaggio dell’Occidente in crisi, con le sue coazioni a ripetere antichi riti di archeologia capitalistica ammantata di liberalismo predatorio. La crisi strutturale dei modelli di sviluppo, il vicolo cieco del binomio finanza/guerra per grattare il fondo del barile e accumulare profitti da ogni falsa opportunità (dall’economia “verde” ai rimbalzi di borsa), la trasformazione delle società in “stati di eccezione” senza futuro, le politiche estere come esercizi di forza nei mercati, la guerra come investimento e devastazione produttiva del pianeta, stanno creando un nuovo disordine mondiale. L’incubo di una nuova recessione sta creando una situazione profondamente instabile, sensibile ai più piccoli imprevisti del quadro: le sproporzionate reazioni di panico dei sistemi politici ed economici di fronte all’epidemia di Conad-19 sono un segno di grande debolezza. Le opportunità? Qualche possibile affare delle multinazionali del farmaco (ma i vaccini contro Covid-19 li stanno preparando i cinesi), l’uso della paura dei cittadini consumatori contro tutti i nemici interni ed esterni (dal virus ai cinesi e ai russi), il rafforzamento degli apparati militari. Il vero “stato di eccezione” è il capitalismo occidentale in crisi nei suoi luoghi deputati: gli Stati Uniti e l’Europa.

L’attuale politica interna ed estera degli Stati Uniti, la politica della presidenza dell’affarista paleocapitalista Trump, è tutta giocata in funzione delle prossime elezioni presidenziali di novembre: la cosiddetta democrazia statunitense è ostaggio degli interessi privati della banda presidenziale e delle lobbies (industria militare e petrolieri) che l’anno espressa e continuano a esprimere le sue politiche suprematiste bianche, autocratiche e corporative («America first»), il peggio di una ignobile tradizione. Ma basta un’epidemia “in casa” a gettare il panico nella declinante prima potenza del mondo. Lo scompiglio coinvolge l’intero sistema finanziario statunitense e le sue rappresentanze repubblicane e democratiche. La partita è aperta, ma è un dato importante la forte affermazione di una sinistra democratica di massa e di base in occasione delle primarie del partito democratico. Ed è certo che, nonostante le campagne di distrazione di massa dei media di potere, Trump sarà costretto a fare i conti con i problemi reali della popolazione, dalla questione sanitaria all’occupazione precarizzata, alle estese povertà, al crollo dei consumi interni e della loro drogata ideologia.

Ritorno al passato anche per l’Unione europea: la “Fortezza Europa” chiude nei suoi confini le magnifiche sorti dei suoi Stati, affermando la propria disunione nei confronti dei nemici esterni (l’asse Russia-Cina, i migranti usati come massa di manovra e di ricatto economico dall’autocrate turco) sul fronte est e sul fronte sud. Politica estera inesistente e politiche economiche e sociali fallimentari in una condizione di mediazione al ribasso tra le pulsioni autarchiche dei vari Stati, con l’incubo della delegittimazione. Anche qui la partita politica è aperta, ma sempre eterodiretta dagli interessi del capitalismo finanziario europeo e “atlantico”. E anche qui il rifiuto di intervenire contro i cambiamenti climatici espone le popolazioni ai danni di qualunque loro conseguenza, dalle epidemie virali ad altri virus altrettanto dannosi: la chiusura identitaria dei suprematisti europei, la xenofobia, il razzismo, il crollo dei consumi interni, la delegittimazione dei sistemi politici.

In Italia, un sistema politico esausto, endemicamente in crisi di rappresentanza, sta cogliendo l’opportunità di un’epidemia virale per compattarsi contro il nemico: destra e simil-destra esibiscono prove di responsabilità nazionale, per fronteggiare una simil-influenza che è dannosa soprattutto a causa della precarietà di un servizio sanitario nazionale che negli ultimi decenni è stato definanziato e devastato da tutti i governi di destra e di “sinistra”, uniti da scelte comuni di attacco alla salute pubblica in nome degli interessi della sanità privata, abilissima a lucrare sulle debolezze di un servizio pubblico depotenziato e oggi latitante su servizi costosi e impegnativi come le strutture di terapia intensiva. Un governo in difficoltà, assediato da un’opposizione che costruisce le sue fortune sui sentimenti più retrivi e inconsapevoli di larghi strati di popolazione che per ora la votano in assenza di alternative reali, sta affrontando con piglio decisionista la diffusione dell’epidemia virale; il modello non confessato per ragioni “atlantiche” è l’azione di contenimento che ha avuto successo in Cina. La scelta è giusta, ma diverso è il fattore umano; gli italiani non sono cinesi, e nelle condizioni di emergenza tendono a dare il peggio di sé: la chiusura egoistica, la carenza di senso civico, l’antico vizio italico del cinismo e della furbizia asociale. Una cartina di tornasole riguarda le vittime del contagio: a morire sono soprattutto i vecchi, vuoti a perdere, e gli altri possono fottersene delle ordinanze di salute pubblica. Ma torniamo alla questione del contesto dell’epidemia virale: perché a morire sono soprattutto i vecchi, in una popolazione demograficamente sempre più anziana? E dove muoiono i vecchi? Soprattutto nei territori avvelenati dall’inquinamento industriale e sviluppista, la mitica Padania della mal’aria e delle nebbie infette, che ha riservato alle popolazioni locali condizioni di vita tutt’altro che salutari. Perché stupirsi se gli effetti di un virus si sommano a “patologie preesistenti”? Ed è incredibile che negli ospedali oggi si ponga il problema di scegliere tra la cura di un vecchio malato e quella di persone che hanno maggiori potenzialità di sopravvivenza. Sappiamo che storicamente il capitalismo è malthusiano e sordidamente egoista, ma non così può essere affrontata, in questo paese, la questione della salute pubblica. Lo impedisce la stessa Costituzione.

I cinesi, che hanno dato un’ottima prova di sé, per il presente e il futuro di tutti, insistono sulle opportunità della crisi virale e in generale delle crisi finanziarie e geopolitiche. Quali opportunità in Occidente, alla vigilia di una replica della grande crisi del 2008-2010? Non mi riferisco alle opportunità della speculazione finanziaria internazionale, sempre impegnata nelle scommesse sul ribasso dei titoli di Borsa dopo aver lucrato nella direzione opposta (e per i giochi di Borsa dei “mercati neri” le “calamità” sono una manna). Né mi riferisco alle grandi opportunità di oscuramenti e deformazioni dei dati di realtà da parte dei sistemi politici quando “la casa brucia”; l’imponente concentrazione mediatica internazionale su uno dei tanti effetti dei cambiamenti climatici, esasperando le paure e consolidando i poteri istituzionali come unica e indiscutibile barriera di sicurezza contro il maligno, a cui delegare gestioni e soluzioni, sta utilizzando l’epidemia di Covid-19 come arma potente di distrazione di massa. Nel drogato disinteresse generale, tutte le operazioni politico-militari procedono indisturbate e coperte dalle campagne di disinformazione, e la tendenza generale è alla guerra: sul fronte est, la Nato sta concentrando uomini e armamenti per le grandi esercitazioni di aprile (ci sono anche gli italiani) ai confini con la Russia; sul fronte sud, Israele reagisce allo stallo politico delle elezioni di marzo (l’unico dato positivo è il successo della lista araba) per attuare l’“accordo del secolo” tra Trump e Netanyahu, e liquidare la questione palestinese; in Siria, in Libia, in Afghanistan e altrove, continua la guerra con i suoi massacri e il suo corollario di migrazioni forzate.

Mi riferisco invece alle opportunità di mutazioni reali dei nostri paradigmi di lettura delle realtà e di azioni politiche conseguenti. In condizioni di “eccezione” (ma sono un’eccezione i cambiamenti climatici? sono un’eccezione le devastazioni finanziarie? sono un’eccezione le guerre? sono un’eccezione le crisi dei sistemi politici liberal-democratici?), l’opportunità è la costruzione di radicali alternative politiche e sociali all’altezza del conflitto con il capitalismo e tutte le sue drammatiche conseguenze, opponendo alle disgregazioni sociali esercitate dai poteri istituzionali una nuova socialità realmente democratica e socialista, con le armi della noncollaborazione, del sabotaggio, del boicottaggio, della sperimentazione democratica dal basso e della costruzioni di reti egualitarie e internazionaliste. La decrescita in atto dei sistemi economici in una fase di grande turbolenza richiede altre visioni e altre pratiche, sapendo vedere le esperienze di vera alternativa, numerose nel mondo. Come ci ha insegnato Bertolt Brecht, è nei vicoli ciechi che avviene il cambiamento. Ci sono salti da compiere. Impariamo dai virus. E anche dai pipistrelli.

Lanfranco Binni



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