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Irène Némirovsky, Suite francese

E il primo movimento potrebbe chiamarsi Naufrage (sarà Tempête en juin): la disfatta della Francia nel giugno 1940, la paura, l’esodo, lo sciame impazzito, il sordido egoismo, rari esempi di umana virtù. Titolo generale dell’opera: Tempête o Tempêtes. Cinque movimenti, forse quattro. La musica e il ritmo. Va bene Dolce per il secondo movimento, piano, pianissimo: l’occupazione tedesca, la vita quotidiana, la Storia e le storie, la tragedia e il cosmo, il grottesco e l’amore, la guerra passerà, la vita continuerà, per chi sopravvive. L’epoca, lo sfondo, deve legare tutto, come in Guerra e pace di Tolstoj; con varietà e armonia, come nella Quinta sinfonia di Beethoven. Il lettore deve soltanto vedere e ascoltare. L’autore, impersonale. Il discorso, indiretto, come in Flaubert. La forma… piuttosto il ritmo: il ritmo in senso cinematografico… relazioni delle parti tra loro. Scrive in un appunto del 1941: «La Tempête, Dolce, dolcezza e tragedia. Captivité? qualcosa di sordo, di soffocato, il più cattivo possibile. Dopo, non so».
Irène Némirovsky scrive su un grosso quaderno rilegato in pelle, sull’erba, sotto un albero, nella campagna di Issy-l’Évêque, il villaggio della Borgogna dove si è rifugiata all’inizio della guerra, nel settembre 1939, e dove vive stabilmente con la famiglia dal 1941, di fatto prigioniera. Ha la stella gialla che si è cucita sul petto, lo stigma di un’appartenenza imposta, da sempre vissuta con estraneità e fastidio. Riempie veloce il suo quaderno, non rileggerà: sulle pagine di destra, la narrazione di Tempête en juin e di Dolce; sulle pagine di sinistra, appunti di laboratorio, considerazioni su cui ritornare, anticipazioni per i “movimenti” a venire. L’opera sarà interrotta: il 13 luglio 1942 Irène Némirovski viene arrestata dalla polizia del governo collaborazionista di Pétain e consegnata ai tedeschi; dal campo di transito di Pithiviers scrive due ultime lettere al marito e alle due figlie; il 17 luglio, la partenza per Auschwitz, due giorni di viaggio in un vagone piombato, senza cibo né acqua. Poi l’inferno dei sommersi. Sopravviverà un mese: muore (di tifo? di gas?) il 19 agosto.
Il quaderno rilegato in pelle è rimasto a Issy-l’Évèque, in una valigia con ricordi familiari (fotografie, lettere, appunti) che le due figlie, Denise ed Élisabeth, porteranno con sé nella loro fuga, sopravvivendo al padre, Michel Epstein, arrestato nell’ottobre 1942, deportato ad Auschwitz e immediatamente ucciso in una camera a gas. Soltanto nel 1992 Denise Epstein trova il coraggio di trascrivere a macchina quel quaderno, l’ultimo manoscritto della madre, prima di consegnare all’IMEC (Institut Mémoires de l’Édition Contemporaine) di Parigi i documenti d’archivio relativi alla sua attività editoriale, perché siano conservati. Nello stesso anno la sorella Élisabeth Gille pubblica Mirador. Irène Némirovski, ma mère, una biografia. Tempête en juin e Dolce saranno pubblicati nel 2004, con il titolo di Suite française.
Ha scritto Irène in un appunto del 24 aprile 1942: «Bisogna fare una suite in cui si succedano Tempête, Dolce, Captivité». Ancora una volta la musica: «suite» viene da Bach. A indicare la forma di una sinfonia in quattro movimenti: «Lento, seguito da una fuga; allegro in un tono diverso ma simile; adagio; e infine una serie di danze veloci», in un continuo esercizio di contrappunto tra storie individuali ed eventi collettivi, tra commedia e tragedia, tra ritmi e tempi diversi, di diversa durata. Annota il 2 giugno: «Non dimenticare mai che la guerra finirà e che tutta la parte storica sbiadirà. Cercare di mettere insieme il maggior numero di cose, di argomenti… che possano interessare la gente nel 1952 o nel 2052». L’11 luglio, a due giorni dall’arresto, scrive, nel bosco della Maie, in un mattino incantevole, le sue ultime parole nel quaderno rilegato in pelle: «I pini intorno a me. Sono seduta sul mio maglione blu come su una zattera in mezzo a un oceano di foglie putride inzuppate dal temporale della notte scorsa, con le gambe ripiegate sotto di me! […] I miei amici calabroni, insetti deliziosi, sembrano contenti di sé e il loro ronzio ha note gravi e profonde. Mi piacciono i toni bassi e gravi nelle voci e nella natura. Lo stridulo cinguettio degli uccellini sui rami mi irrita… Tra poco cercherò di ritrovare quello stagno isolato».

Irina Némirovsky (Kiev 1903 - Auschwitz 1942) nasce in una famiglia dell’alta borghesia ebraica; il padre è un banchiere, continuamente impegnato in lunghi viaggi d’affari, la madre un modello di vanità, dedita a una vita di amori e frivolezze mondane. Della piccola Irina si occupa esclusivamente una governante di lingua francese, amata figura materna. Lo studio e la passione per la letteratura, per le lingue, diventano presto l’alternativa personale a un padre assente e a una madre profondamente odiata, al “bel mondo” della ricchezza e della fatuità. Intorno a lei, dopo le vacanze estive sulla Costa Azzurra, la prima guerra mondiale e il crollo dell’autocrazia zarista. Nel 1918 la famiglia fugge dalla Russia sovietica, riparando prima in Finlandia e in Svezia, poi a Parigi, dove si stabilisce nel 1919. Grazie alla previdenza finanziaria del padre, i Némirovsky si inseriscono facilmente nell’ambiente cosmopolita dell’alta borghesia parigina. Dal 1922 al 1925 Irène frequenta la Sorbona, poco attratta dagli insegnamenti accademici e molto più interessata a una personale formazione letteraria; diffida degli eccessi delle avanguardie, ama Huysmans, Wilde, Proust. È in questo periodo, nel clima effervescente del Quartiere Latino, che comincia a scrivere, e la scrittura diventa un terreno di svelamento delle apparenze, di riconoscimento delle dinamiche interpersonali e di vendetta nei confronti di una storia familiare dolorosa. Al centro dei primi racconti (Il malinteso, 1926; Un bambino prodigio, 1927; La nemica, 1928) la figura ripugnante della madre, chiusa nel suo perfido egoismo, terrorizzata dall’invecchiamento. Una storia privata? No, il primo segmento di un orrore sociale, privato e pubblico, in cui la complicità delle madri, delle donne, è inaccettabile. La scrittura di vendetta coinvolge anche l’ambiente ebraico in cui Irène è cresciuta, appartata ma attenta testimone. Il romanzo David Golder (1929) è uno spietato atto di accusa contro l’onnipotenza del denaro nella cultura ebraica, in un linguaggio folgorante e privo di autocensure. Ed è un vero successo editoriale, soprattutto perché opera di una scrittrice ebrea; ovviamente incontra anche l’equivoco favore di ambienti letterari antisemiti che aprono le loro riviste («Candide», «Gringoire») alla scandalosa Némirovsky. Ma la resa dei conti con il suo ambiente di origine è solo un aspetto della poetica complessa della scrittrice, impegnata in una ricerca assoluta di verità. Nel corso degli anni, tra il 1929 e il 1940, viene a comporsi, attraverso racconti e romanzi (da Il ballo, 1930, a Jezabel, 1936, a I cani e i lupi, 1940), un inesauribile caleidoscopio di storie in cui tutto converge (l’autobiografia, le dinamiche sociali, il senso della Natura e della Storia) in una scrittura che poco concede all’intrattenimento letterario, che vuole urgentemente dire la realtà in tutti i suoi aspetti di farsa, commedia e tragedia, in uno stile urgente e concreto, pittorico e cinematografico.
Nel settembre 1939, allo scoppio della guerra, per proteggersi dall’onda nera dell’antisemitismo nazista e collaborazionista Irène Némirovsky, suo marito, il banchiere Michel Epstein, e le due figlie Denise ed Élisabeth lasciano Parigi e si rifugiano nel villaggio di Issy-l’Évêque, in Borgogna; nel 1940 la famiglia si converte al cattolicesimo, nell’illusione di poter sfuggire alla persecuzione. Dal 1939 intorno alla scrittrice si è fatto il deserto; riesce a pubblicare ancora qualche racconto, sotto pseudonimo. A Issy-l’Évêque scrive Suite francese, l’opera che sarà pubblicata postuma soltanto nel 2004, determinando la riscoperta di tutta l’opera della scrittrice, arrestata il 12 luglio 1942 e uccisa ad Auschwitz dopo due mesi, il 19 agosto.

(Prefazione a Irène Némirovsky, Suite francese, a cura di L. Binni, Milano, Garzanti, 2014).


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