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«Il senso profondo della storia»

Pubblicato da «micropolis», mensile umbro di politica, economia e cultura, anno XXV, giugno 2020, n. 6, p. 16, distribuito con «il manifesto». L’articolo fa parte di uno “speciale” dedicato alle tradizioni perugine del 20 giugno 1859 (resistenza popolare armata contro una spedizione punitiva dello Stato pontificio) e del 20 giugno 1944 (liberazione di Perugia dall’occupazione nazifascista).

 

 

 

I 20 giugno di Aldo Capitini e Walter Binni

Il senso profondo della storia

 

 

Capitini ci ha insegnato a conoscere e a sentire la storia non come narrazione lineare, evolutiva, “storicistica” (a giustificazione postuma di tutto ciò che è stato, nei punti di vista dei vincitori), ma come dinamica “compresenza”, complessa e conflittuale tra passato e presente nella creazione dei “valori”: il bello in una realtà orribile e inaccettabile, il buono contro la “banalità del male”, il giusto in un mondo profondamente ingiusto che è doveroso trasformare. Nella storia, o meglio nelle storie, e nelle loro narrazioni, coesistono ed entrano in confronto le esperienze umane di oggi e di ieri, costruendo nuovi percorsi di conoscenza e consapevolezza. L’uso politico della storia moltiplica le interpretazioni e le letture dal presente dei fatti storici anche su un terreno simbolico e mitologico.

Così l’eroica ribellione dei popolani e dei borghesi perugini, in gran parte mazziniani e libertari, il 20 giugno 1859, in armi contro la spedizione punitiva delle truppe mercenarie dello Stato pontificio, ribellione condannata alla sconfitta eppure di straordinario valore e simbolo di lotta per la libertà, resterà anche nelle vicende post-risorgimentali un esempio di riferimento per i movimenti democratici e poi socialisti, richiamando “… il senso profondo di una città (Perugia) scabra ed essenziale, antiretorica e intensa più che edonisticamente ‘bella’, il senso profondo della sua storia, ricca di ribellioni e proteste, spesso temerarie e sconfitte…”, come scriverà Walter Binni nelle pagine della Tramontana a Porta Sole. Sconfitte che, sul piano di un “senso profondo della storia” saranno in realtà vittorie dei valori di autonomia e libertà, come nella resistenza armata del 20 giugno 1859, esempio anche di unità di lotta tra popolani e intellettuali mentre i notabili proprietari del governo provvisorio filo-sabaudo si allontanavano dalla città, in attesa di tempi migliori.

Quell’esempio di resistenza si diffuse tra i ceti popolari durante l’occupazione pontificia, con i mercenari del papa a esercitare un duro controllo poliziesco, fatto di continue provocazioni e umiliazioni della popolazione locale che rafforzarono i sentimenti di opposizione al dominio papale. Quell’esempio di resistenza “dal basso” fu per i ceti popolari e democratici la principale lezione della ribellione, delle stragi e dei saccheggi che l’avevano seguita, fondando un mito che si sarebbe consolidato nei decenni successivi, ingestibile per i suoi contenuti anticlericali e libertari dopo la Conciliazione del 1929 tra regime fascista e Vaticano; allora si interverrà sul monumento-simbolo eretto al Frontone nel 1909, eliminando dall’opera l’elemento simbolico della tiara su cui si affondava l’artiglio iroso del grifo, e sarà posta fine alle celebrazioni ufficiali del 20 giugno.

Quella data, con tutti i suoi significati, entrerà, con la tradizione mazziniana, democratico-risorgimentale e socialista, nel pantheon della cospirazione e della resistenza antifascista. E il 20 giugno 1945, nel primo anniversario della liberazione di Perugia (ancora un 20 giugno, 1944), sarà ripristinata la celebrazione di quella data fondamentale della storia civile e politica della città, con una nuova lettura che ne attualizzerà temi e contenuti: la posta in gioco è la costruzione della democrazia in un paese mai stato democratico, e Perugia, forte anche delle sue migliori tradizioni comunali e popolari, sperimenterà nei mesi successivi, nei Centri di Orientamento Sociale progettati e organizzati da Capitini e dai “liberalsocialisti” (massimo socialismo e massima libertà), nuove modalità di democrazia “dal basso”, di reale partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica. Questa prospettiva è inconciliabile con i tradizionali assetti proprietari della città, e il conflitto attraversa anche i partiti della sinistra.

In un appunto autobiografico del 1993, pubblicato nel 2019 nel volume, mio e di Marta Binni, Storia di Bruno Enei. Il dovere della libertà, Walter Binni ricorda come, in occasione della prima celebrazione del 20 giugno 1859 dopo la Liberazione, si manifestò clamorosamente il conflitto interno al Psiup tra i socialisti di formazione liberalsocialista, in cui sono particolarmente attivi Binni, Enei, Averardo Montesperelli, e i vecchi “socialmassoni” della destra del partito: “ … Ma il peggio avvenne il 20 giugno del ’45 quando venne ripristinato il corteo al monumento delle stragi del XX giugno ’59 e a cui io, Enei, Montesperellì, Granata, partecipammo con giovani socialisti e comunisti. Io, per la verità, non prevedevo quello che sarebbe avvenuto come giusta reazione alla prevaricazione che la massoneria perugina aveva preparato: le strade di Corso Cavour e di Borgo XX giugno avevano sulle porte di molte case dei grembiulini neri orlati di verde con scritte di chiara impronta massonico-proprietaria (basti citare quella che metteva in rilievo l’ ‘orrore’ degli Svizzeri che avevano costretto i ‘servitori’ a partecipare al saccheggio delle case dei ‘loro padroni’) e quindi il corteo ritornando si fermò davanti al Tirassegno dove era stato preparato un palco per gli oratori: non uno di questi non era massone. Parlò il 33 di Perugia, Mariano Guardabassi, repubblicano, poi l’avvocato Monteneri, altro repubblicano massone. Ma quando prese la parola per il Psi il professor Chiodi, un odioso veterinario, spocchioso e arrogante e gran massone, scoppiò un finimondo di fischi e di urla, ‘Buffone!’, ‘Massone!’, e con gli amici ricordati mi trovai proprio nel mezzo e non potei trattenermi di fischiare anch’io e di inveire contro il Chiodi [ ... ]”.

L’episodio ha delle conseguenze: nella federazione del Psiup, la questione dell’assoluta inconciliabilità tra massoneria e socialismo diventerà un tema di scontro continuo; Chiodi sarà espulso (aderirà al partito liberale), e la massoneria perugina si vendicherà facendo revocare l’incarico di Binni all’Università per Stranieri, revoca poi annullata grazie a un intervento di Carlo Ludovico Ragghianti, sottosegretario alla Pubblica istruzione del governo Parri. La massoneria perugina, in alleanza con il partito cattolico, svolgerà poi un ruolo attivo, nel 1946, nella destituzione di Capitini dal suo ruolo di commissario straordinario dell’Università per Stranieri.

Ma l’episodio riportato da Binni dice anche molto altro, sulla storia e sulle tradizioni della città, ed è utile rileggere quanto scrive Luigi Bonazzi, testimone e fonte storica del 20 giugno 1859 nella sua Storia di Perugia dalle origini al 1860, sul clima in città alla vigilia del cruciale 1859, in una fase di prevedibile passaggio dal dominio papale al regno sabaudo: “ … durante ancora il governo pontificio, incomincia per Perugia la tremenda piaga della consorteria, che rese famigerata la nostra città, facendola prendere per quella che non è. […] Noi non chiamiamo consorti quelli che credono in buona fede che una data maniera di governare sia la più opportuna per la prosperità di un paese, ma quelli bensì che si accordano in una illiberale maniera di governare per esser sempre padroni d’una città o d’uno stato”. Per aver denunciato, nomi e cognomi, il malaffare delle varie consorterie perugine a difesa del tradizionale sistema di potere padronale, al democratico Bonazzi sarà riservato il consueto veleno della denigrazione localistica, fino al sequestro della sua Storia di Perugia. Ma della sua “commedia perugina” resterà indenne il valore di una visione storica attenta non solo ai notabili ma anche agli altri soggetti della storia, popolani e intellettuali, ribelli e antagonisti.

È questa la storia in cui Capitini e Binni sentono inserito il mito fondativo del 20 giugno 1859. Nel 1947 Capitini gli dedica pagine indimenticabili della sua geniale “guida” alla città e alla sua storia, Perugia. Punti di vista per una interpretazione. Nel 1954 Binni ricostruisce puntualmente Il XX giugno 1859 nel Risorgimento italiano in un ampio saggio storico-critico che Capitini definirà “il migliore che io abbia letto”. Nel 1959, ancora Capitini scrive nell’articolo Le “eresie” dell’Umbria. Cento anni dopo il XX giugno, sul periodico socialista “Italia domani”: “… Un’illusione, sì, quella dei ribelli perugini di pensarsi aiutati dal re del Piemonte, ma di quelle illusioni che sono sacrificio e martirio e aprono, per il supremo insegnamento mazziniano, le strade del futuro”. E ancora Binni, nel suo scritto autobiografico Perugia nella mia vita. Quasi un racconto, chiuso il 4 novembre 1997, a pochi giorni dalla morte, inconciliabile “pessimista rivoluzionario”, si rivede “adolescente, nella sala della Biblioteca Augusta (allora era nel palazzo comunale) a leggere antiche cronache perugine che alcuni vecchi inservienti mi portavano, riluttanti e brontoloni (sono libri difficili per la sua età’) e da cui traevo, oltre un esagerato orgoglio campanilistico, un rinforzo al mio nascente anticlericalismo (la rivolta antipapale del 1378, la guerra del sale contro Paolo III, la difesa repubblicana contro i sanfedisti aretini del ’99, la trascinante narrazione del 20 giugno) sollecitato anche dai ricordi materni delle gesta del nonno garibaldino alle battaglie di Bezzecca, di Monte Rotondo e Mentana…”. 

Nelle profondità delle vite dei singoli, tutti, scorre la storia.

Lanfranco Binni

  

 

 

 

Lanfranco Binni



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